mercoledì 16 settembre 2009

Ulteriori sgradevolezze



Caro Bernardo,
ti chiedo scusa per il forte ritardo con il quale mi accingo a risponderti. Ti chiederai sicuramente, o quanto meno te lo sarai chiesto sino al suo annoiarti, come mai non ti avessi ancora risposto o perché non mi fossi ancora scusato di non averlo fatto. Devo innanzitutto dirti che se mi fossi scusato prima, tu avresti potuto, diligentemente (o logicamente), rimproverarmi il fatto che io mi scusassi per non averti scritto ma avrei di gran lunga risparmiato tempo e scuse se ti avessi scritto non per scusarmi ma per risponderti. Mi darai mai torto per tutto ciò, rischiando tu stesso di dovermi scrivere per scusarti, poi, quando io avrò smontato la tua critica?
Comunque tu risponda a questa domanda, te lo dirò molto chiaramente, a dir poco francamente: ho tentato di tergiversare il più a lungo possibile, con il solo intento di esserti meno gradevole di quanto si possa attendere da un buon amico quale io ritengo di essere per te, e senz’altro tu per me.
E vado oltre, caro amico, poiché devo raccontarti qualcosa, forse anche in risposta a ciò di cui tu mi parlavi nella passata missiva. Risposta, poi, è parola grossa. Niente di più distante. Diffida, te lo consiglio, caro amico, da chi dispensa risposte e soprattutto consigli, da chi vuol esserti d’aiuto con la parola.
E veniamo, infine, ai fatti:
Come anche tu avrai potuto notare, l’estate, ahimè, si conclude anche stavolta e, con buona pace di Russell e Dhakir, tra qualche giorno saremo nuovamente afflitti e, volenti o nolenti, invischiati in questa situazione post-rivoluzione industriale. Pazienza, non si può voler tutto dalla vita. Lo schiavismo, in fondo, è rassicurante, soprattutto se messo a confronto con una mano impanata e fritta sullo stesso olio usato in più occasioni. Tergiverso ancora, ti dicevo, mi è capitata, lungo il corso di questa estiva pausa, cosa ben strana:
Il primo mattino in cui mi svegliai nella mia residenza estiva…ehm… suona male “residenza”, vero?
Sembra quasi che abbia una villa in Sardegna, magari costruita, disinteressatamente, su delle tombe etrusche, no?
Diciamo che, dopo il primo pernottamento nella casa di mio nonno, a mare, mi svegliai deciso a fare una bella passeggiatina sugli scogli. Che bello vedere quella magnifica esplosione di colori tra la sterpaglia che cresceva negli anfratti scogliosi. Mi riferisco alle lattine, vagamente yankee, scolorite ed ignote negli ingredienti costitutivi dei liquidi contenuti nei suoi primordi industriali e commerciali. Ma non solo: bottiglie di vetro, integre e frantumatesi in più pezzi di un immenso mosaico, degno di questa splendida Monreale del rifiuto; volantini di ogni tipo, da quelli con le facce stampate e lo slogan elettorale intrigante a quelli più strettamente commerciali (non che i precedenti non lo fossero); sporte di plastica e ogni altro tipo di pezzo non biodegradabile, ormai appartenente alla archeologia ed al gusto storico. Ad un certo punto, però, mi accorsi che qualcosa di pungente solleticava le narici. Pensai subito al prodotto interno lordo (P.I.L., o sacro P.I.L, gioia e dolore. Aspettativa benefica, salvifica e fideistica, di chi non può conoscere ma solo credere!), il prodotto interno lordo della fauna eventualmente circostante. Magari…cani?!? Sarebbe mica una novità, no? Ma dando uno sguardo ai poco lontani flutti vidi che la placida onda, poco razionale e sempre varia, si alzava ed abbassava mostrandomi e chiarendo in parte i miei dubbi. Una macchia continua ed allungata, dal punto di inizio indeterminabile (per tanti, a quanto pare) e le sfumature marroni, si diluiva assumendo un colore giallo e spumoso, a tratti spugnoso, inebriante e seducente. Sì, da lì proveniva l’olezzo. No, non fu quella la prima volta in cui mi capitava di assistere a qualcosa di simile, so che mi deridi, caro amico, prendendomi per un ingenuo. Talvolta, in passato, ho anche tentato, (in)coscientemente, di avvertire chi di dovere… Ho detto “chi di dovere”? Chi è costui? Qual è il suo volto? Ha i baffi? Porta cravatte a pois? Va in giro con le trombette di plastica (quelle che si comprano alle feste patronali)? Chi è? Si potrà mai scoprire, amico mio? Se feci bene, all’epoca, amico caro, ancora me lo chiedo. Credo che ormai mi abbiano schedato e chissà cosa rischio.
Chissà se feci cosa giusta: non sapevo a chi rivolgermi, telefonai al mio barbiere. Potevo anche chiamare il mio estetista, ma il barbiere mi era sembrato più ferrato nel discorso, chissà poi perché.
Questa volta però era troppo bello perché finisse, volevo godermela tutta, la chiazza.
Ogni giorno andavo sugli scogli. Ogni giorno; giorno dopo giorno, giorno dopo, giorno, giorno dopo, dopo, dopo…ops…
Insomma, per tutta l’estate sono andato a controllare che Lei fosse lì, la tanto desiata.
Ogni mezzogiorno arrivava, puntuale come lo sciopero per la finanziaria ai tempi del liceo.
Addirittura, qualche minuto dopo, faceva capolino persino sulla spiaggia, per allietare i bagnanti e gli spiaggianti. A volte più rada e confusa tra i flutti, a volte bella concentrata, consistente e persistente negli odori. Nei giorni, Bernardo mio, mi accorgevo però che qualcosa mutava. La chiazza assumeva sempre maggior consapevolezza di sé. Nei primi di agosto la trovai che leggeva la “critica della ragion pura”, a ferragosto uscì dall’acqua e si diresse verso il bar a prendere un cockatail, subito dopo aver acquistato una bellissima paglietta (vera paglia, non plastica, di quelle che fanno odore di fieno).E a quel punto preferiva già Hegel. In occasione di una festa religiosa locale, una di quelle che sanciscono la definitiva conclusione delle vacanze, davanti ad alcune personalità del clero, dell’establishment culturale, in presenza dei maggiorenti dei partiti locali, di governo ed opposizione, anche non strettamente locali, si decise di premiare la chiazza. Qualcuno obiettava che non aveva poi fatto cose così eccezionali, in fondo. Ma la diatriba fu risolta con una alzata di spalle, si premia per molto meno, sempre più in fondo. Tutto si svolse nel migliore dei modi, con grande successo per quanto riguarda le presenze di pubblico. Tra frizzi e lazzi, la serata si concludeva con lo scrosciare continuo degli applausi (anche i miei, ero un vero scalmanato quella sera), quando, voltandomi verso un tizio al mio fianco, gli dissi:
“ha visto come porta bene i capelli?”
mi rispose:
“Si, si, bel taglio davvero, moderno!”
gli dissi ancora:
“Già, già, peccato per la puzza, vero?”
“puzza?!?”-chiese lui stupito.
“beh, in fondo, i suoi inizi non sono certo un esempio di chiarezza, dico: non vedo mica limpido, (ancora) in fondo!”-feci io
“Senta, non so a cosa voglia alludere-mi controbatteva- e non mi interessa. Si segua la premiazione, se vuole, e mi lasci in pace.”

Non dissi altro e, a dire il vero, neanche lui, poi, però, nei giorni seguenti mi accorsi che le mamme mi additavano ai loro figli. Riuscivo a percepire qualcosa dai discorsi dei vecchietti che giocavano a carte. Si parlava del fatto che quest’anno il mare era stato veramente sporco. La faccio breve, Bernardo, sai che non mi piace la suspense e i gialli. Mi hanno fatto una multa, sono in attesa di processo, incriminato per delitti ecologici, e m’hanno detto che devo pure ringraziare!
Vuoi sapere che dicevano le mamme, ai figlioletti, quando mi indicavano?
“Se non fai il bravo guarda che ti faccio prendere dall’uomo nero che sporca il mare!”




Con affetto


Tuo Hamete Benengeli

4 commenti:

Adriano Ficili ha detto...

Caro Gaetano! terminata la lettura del tuo nuovo post mi sono ritrovato a chiedermi una cosa ben precisa, e cioè chi fosse il vero protagonista di questa singolare e geniale vicenda. Hamete Benengeli è un personaggio spudoratamente fittizio, e ciò potrebbe fungere da indizio per interrogarsi sul possibile protagonista. io credo che la vera protagonista sia la parola, una parola che si inerpica su se stessa,sfiorando vette di prodigiosa perizia, e che sa però ritornare sempre a una posizione di stallo, così come le onde del mare fanno su e giù lasciando intravedere la chiazza. E la chiazza, continuando il mio ragionamento,corrisponderebbe alla "verità" che viene a galla, una verità capace di essere compresa solo attraverso la sua analisi. indugiare con la parola sulla chiazza, percorrendola, descrivendola come se fosse animata, penetrando dentro di essa (con uno stile, direi, gaddiano), risulta essere l'unico modo per riuscire a sentirne addirittura l'odore, anzi la puzza che emana. La parola svela l'altra faccia della medaglia, andando contro la supeficialità di un mondo che Gadda stesso definì "barocco",difendendosi in tal modo da chi invece lo rimproverava di "scrivere in modo barocco".
Complimenti Gaetano e fammi sapere se ti ritrovi in qualcuna delle cose che ho scritto!

LMV 23IF ha detto...

Concordo in parte con Adriano. E' vero che la particolare sensibilità di chi narra porta il personaggio, essendo esso stesso narratore, a percepire l'entità che la macchia costituisce in maniera più articolata. Tuttavia la macchia rimane sempre qualcosa di vago. L'altra faccia della medaglia viene mostrata ma non del tutto svelata, come Gaetano aveva già chiarito, se non erro, in un precedente commento ad un altro post riguardante il "marrone" della macchia. Inoltre la stessa, suddetta, particolare sensibilità del narratore se riesce a percepire e mostrare in maniera più complessa degli altri non ha un impatto materiale sulla realtà. Per intenderci non genera alcuna azione narrativa decisiva riguardo l'esito della storia. A questo si può aggiungere che il punto di vista espresso dal protagonista, nonostante la sua alterità rispetto a quello comune, risulta altrettanto contraddittorio. Se la massa, in conformità ai potenti, prima premia la macchia e dopo si lamenta che il mare sia sporco, il protagonista pur raccontandola con lo strumento dell'ironia (sintomo di distacco) non può negare che questa sia il principale oggetto del suo narrare, e quindi elemento irrinunciabile alla determinazione del suo ruolo. Che narratore sarebbe se non avesse nulla da raccontare? Il fatto che nel finale la colpa del mare sporco ricada su di lui mi ricorda molto le considerazioni che Sciascia fa in "L'affaire Moro": Lasciata, insomma, alla letteratura la verità, la verità - quanto dura e tragica apparve nello spazio quotidiano e non fu più possibile ignorarla o travisarla - sembrò generata dalla letteratura. Dagli uomini politici del potere, o al potere vicini,gli uomini di lettere (...) ne furono accusati: e con una certa buona fede, con una certa innocenza, considerando che gli stessi uomini di lettere avrebbero ad un certo punto avuto l'allucinazione di aver generato quella realtà".

Gaetano Celestre ha detto...

Parte 1:
Caro Adriano e commentatore dallo strano nickname, mi chiedo:
Merito il vostro illuminante commento?
Non mi dilungherò molto in questa mia risposta, perché, in effetti, non c’è bisogno di alcun commento ulteriore.
Solo poche parole per ringraziarvi e complimentarmi con voi per la lucidissima lettura.
Ottimo spunto quello della “parola”, anche per me che devo iniziare ancora ad organizzare ciò che sto scrivendo. La “parola” come simbolo, dai poteri anche magici e dai valori metafisici, oltre che assoluto tramite dell’ (non) intendersi umano. “Parola” che contiene “La Verità”(probabilmente), forse quella più sbadatamente ignorata persino da chi la pronuncia, termine ed inizio della eterna contraddizione! Ringrazio lo sconosciuto, quanto mirabile, commentatore dallo strano nickname per aver dato risalto ad un reale valore dell’umanità. Molto spesso sottovalutato, ancor più spesso (specie in ambito politico) denigrato: il contraddittorio.
“A” dice: “Si”.
“B” dice: “No”.
“C” dice: “Boh”.
È chiaro che uno dei tre (forse, e dico forse) avrà ragione. Avrebbe ragione (forse) anche chi dicesse tutte e tre le cose, no?
A qualcuno sembra strano, ma non è il caso del commentatore dallo strano nick, che una stessa persona, in uno stesso discorso, possa coerentemente prospettare tutte e tre le opzioni (e persino una quarta, se non anche una quinta ed una sesta), promuoverle e valorizzarle. Ancor meglio se ciò avviene senza che se ne possa accorgere.

Gaetano Celestre ha detto...

Parte 2:
La sbadatezza è una delle caratteristiche che, in fondo, ci avvicina maggiormente alla divinità, nella sua inconsapevolezza! Ecco perché ti ringrazio, sconosciuto commentatore. Uno dei pochi, sino ad ora, ad essersene accorto, o almeno ad avermelo detto. Stamattina sono andato a lezione, all’Università (con la “U” maiuscola?) ed essendo arrivato, di malavoglia, in ritardo, non ho trovato posto nelle prime file. Mi son seduto, in fine, tra i “disinteressati!”, precisamente accanto a due tizi che parlavano in continuazione. Riuscivo a seguire la professoressa con estrema difficoltà. Vi chiederete: “sei diventato secchione?”. No, assolutamente, solo che a trenta anni o segui le lezioni o vai a lavorare! Continuo nel raccontare: Ecco che il tizio seduto accanto a me, nella prima ora, dopo aver staccato un foglio di quadernone (a quadretti, tra l’altro! A che gli servirà mai, in un corso di Diritto Processuale Civile?!?), cominciava a disegnare (meraviglia) lavastoviglie, frigoriferi, frullatori, televisori e, insomma, ogni tipo di elettrodomestico. -Che ambizioni aveva quel ragazzo? Questo mi chiedevo mentre, nello stesso tempo, mi rendevo conto che non parlava più con il compagnetto a fianco. Potevo seguire la docente!
-Era ora-. Così, un poco rasserenato, tolgo il cappuccio alla penna e…disegno anch’io. No, niente elettrodomestici, disegnavo facce coi baffi, di gente stralunata che fuma sigarette buonissime. Ogni tanto, davo un occhio al collega, che probabilmente sognava di fare il giurista per conto o meglio ancora all’interno (proprio fisicamente) di una struttura tipo “Bruno Euronics”. Nella seconda ora il mio quadernone (a righe) era così pieno di facce che dovetti voltar pagina, sembrava che mi guardassero un poco sdegnosamente. Proprio quando mi auto-rimproveravo, mentalmente, e mi accingevo a seguire la docente, ecco che il collega passava il suo foglio al rispettivo vicino. Scambiavano un paio di chiacchere, io li rimproveravo con uno “shhhhhh” e poi, con la coda dell’occhio, stavo a vedere il nuovo possessore del foglio col capo chino e la penna in pugno. Cosa faceva? Poco prima che finisse la lezione il foglio (a quadri, lo ricordo), ritornava al suo originario autore-possessore. Allungato il collo, finalmente potevo ammirare l’opera finale, nella sua coerenza.
Il tizio, l’amico del disegnatore, aveva aggiunto, per ogni pezzo, la marca ed il prezzo. Avevano creato un volantino pubblicitario! Sono tornato a casa veramente felice. Concludendo, amici miei, vi ringrazio davvero. Il vostro raffrontarmi, prima a Gadda, poi a Sciascia (che è stato seriamente preso in considerazione, nella stesura di quello e di questo scritto) mi lusinga e spero veramente di meritarlo.
Ah, una ultima cosa, per l’amico dallo strano nick: Ti consiglio di spostare il walkswagen da sopra il marciapiede, onde evitare possibili multe!